Inserisco il capitolo finale. Inutile dire che mi farebbe piacere leggere alcuni commenti, che non devono essere per forza compiacenti. Questo è un racconto che mi aveva molto divertito nella fase di scrittura e rileggerlo e correggerlo è stato altrettanto piacevole. Spero piaccia anche a qualche cyber-lettore... e che il verbo si diffonda il più possibile!
Cap. 6) - Realizzazione di un sognoNonostante i centosessanta fissi, all’interno della Volvo non si udivano rumori. Di tanto in tanto la vettura sbandava per via del suolo ghiacciato, ma Frederik sembrava abituato al problema. Stefano era immerso nei suoi pensieri: rifletteva sulla stranezza del fatto che si stesse dirigendo assieme a un ostaggio, probabilmente affetto da Sindrome di Stoccolma, proprio nella città di Stoccolma.
<<allora …>> Frederik si rivolse a Stefano che sedeva al lato passeggero. <<… che è successo? Ci aspettano seicento chilometri di autostrada … possiamo farceli tutti in silenzio … o puoi scegliere di raccontarmi il motivo di tutto questo casino.>>
<<claude non te l’ha detto?>> Stefano era esterrefatto.
<<non c’è stato il tempo.>>
<<e tu esegui ordini senza sapere?>>
<<più che eseguire ordini, faccio un favore a un fratello. Quando ho sentito la sua voce nella cornetta ero già sicuro che avrei acconsentito … qualsiasi cosa avesse detto. Abbiamo lavorato assieme per molto tempo, in passato. Per me è di famiglia. E lo sarà sempre.>>
<<e tu …>> disse poi lo svedese. <<come hai conosciuto Claude?>>
<<l’ho aiutato a uscire da una brutta faccenda molti anni fa.>> fece Stefano. <<ci so fare col computer e così …>>
<<chi è lui?>> Frederik indicò Piero col capo.
<<in un certo senso … è lui il motivo di tutto il casino.>> rispose Stefano.
Lo svedese sembrava vagamente infastidito da quello strano personaggio che si limitava a stare zitto e fissare il paesaggio imbiancato dal sedile posteriore della sua Volvo.
<<devo andare in bagno.>> disse Piero bruscamente.
<<va bene. Reggila fino a Stockholm.>> ribatté Frederik.
<<se non freni immediatamente ti piscio in macchina.>> fece l’altro.
<<non fare caso a lui.>> disse Stefano. <<alla prima area di servizio fermiamoci cinque minuti, okay? Siamo in viaggio da questa mattina alle quattro, Cristo Santo …>>
<<certo.>> assentì Frederik controvoglia.
Dodici chilometri dopo entrarono in un’area di sosta che pareva più un rifugio di montagna, a giudicare dalla struttura rustica che incorporava bar e servizi. Il parcheggio era minuscolo e avrebbe ospitato una quindicina di macchine al massimo; in quel momento era vuoto. Frederik e Stefano camminarono fino all’ingresso della casupola, avendo cura che Piero rimanesse sempre in mezzo a loro. Era tutto ghiacciato. La temperatura doveva essere ulteriormente scesa col sopraggiungere della notte.
<<non prendiamo neanche un panino?>> disse Stefano quando furono all’interno. <<ho i crampi allo stomaco, sono a digiuno da ieri sera.>>
<<quando sarà tutto finito mangerai quanto vorrai.>> fece Frederik. <<adesso non c’è tempo.>>
L’ostaggio entrò in bagno, gli altri due rimasero fuori, a una ventina di centimetri. Passarono un paio di minuti. Poi ne passarono altri cinque senza che si udissero rumori provenienti dalla toilette. Dall’altra parte si dissero a gesti che c’era qualcosa di strano. Chiamarono Piero, ma questo non rispose. Bisognava entrare nel bagno con la forza. Frederik fece cenno che ci avrebbe pensato lui e si apprestò a sfondare. Poi, in un attimo fu il caos. Piero riaprì di colpo la porta e si avventò su Stefano. Gli era già alle spalle e gli serrava alla gola una sbarra di ferro. Uscendo, l’ostaggio aveva ferito Frederik senza volerlo; quest’ultimo giaceva a terra con uno squarcio in fronte. Lo svedese conosceva alla perfezione le fasi che si sarebbero sviluppate da quel momento in poi. Tutto ciò che doveva fare era afferrare la pistola sotto al giaccone: con la sua arma in pugno avrebbe risolto la complicazione in un attimo, bucando la fronte di Piero senza nemmeno sfiorare Stefano. O magari avrebbe puntato alla gamba destra, estremamente esposta in quel momento. Il fatto è che si sentiva debole, troppo debole per obbedire agli stimoli del cervello. Capiva che quell’aspetto avrebbe rappresentato la disfatta. Stefano intanto, mentre soffocava e sgolava parole stridule, capì in un istante che Claude aveva intuito tutto riguardo a Piero. Perché non me l’ha detto?
<<lascia andare il ragazzo …>> mormorò Frederik mentre la vista gli si appannava. <<… con questa cazzata ti sei compromesso, ma possiamo rimettere le cose a posto.>>
<<non posso, mi dispiace.>> Piero parlava per la prima volta senza quella sua aria svagata. <<voglio bene a Stefano, gli farò un dono … e lo farò anche a te.>>
Giacevano all’interno della Volvo. Piero fumava al posto di guida con aria assorta. Stefano era immobilizzato sul sedile anteriore e Frederik su quello posteriore, ma non erano stati imbavagliati. Stavano lentamente riacquistando i sensi. Quel parcheggio rialzato della periferia di Västervik – duecentosettanta chilometri da Stockholm – era a quell’ora di notte completamente deserto. Piero aveva guidato fino a raggiungere quella cittadina sulla costa orientale del Paese e poi si era fermato all’ultimo piano del parcheggio, a una quindicina di metri d’altezza. Quando Stefano fu sveglio del tutto sentì la bocca impastata di sangue. L’odore di fumo stantio per poco non lo fece svenire nuovamente.
<<dove ci troviamo?>> riuscì a domandare con voce debole.
<<mi sembra di ricordare che questa è la Svezia.>> fece Piero senza ironia.
<<cosa vuoi fare?>> chiese Stefano.
Il freddo aveva colorato di blu le sue labbra.
<<sai … credo di aver aspettato questo momento per tutta la vita.>>
Piero possedeva di nuovo il suo abituale tono apparentemente disattento.
<<come sei riuscito a memorizzare ogni dettaglio del piano di Claude?>>
Stefano tremava come una foglia e mentre parlava sentiva il sapore aspro del sangue che gli si andava diffondendo dal palato all’esofago e fin dentro allo stomaco.
<<quante domande …>> mormorò l’altro. <<… quale piano?>>
Stefano, sgomento, si rese conto che Piero sembrava aver rimosso ogni cosa. Poi si accorse di Frederik sui sedili posteriori e l’adrenalina gli restituì un po’ di nuova energia.
<<che gli hai fatto? Ehi! Hai dimenticato Sidney? Ti piaceva l’idea, no? Era il nostro sogno … potevamo realizzarlo insieme, come avevi chiesto. Un viaggio pazzesco e poi ognun per sé. L’hai detto tu, ricordi?>>
Piero non diede segno d’aver compreso e disse:
<<volevo soltanto guardare un suo film prima di addormentarmi. Non chiedevo poi molto. Se mi aveste dato ascolto … forse … avrei collaborato.>>
<<per noi è la fine.>> si udì dal sedile posteriore.
Era la voce flebile di Frederik.
<<stefano, non l’hai ancora capito?>>
<<che cosa!?>>
<<non ho capito una parola di quanto ha detto Piero fino ad ora … non parlo l’italiano. Ma è chiaro che si vuole ammazzare. E ci porterà con sé!>>
<<ma che dici …>>
<<c’è sempre, in situazioni come queste, un margine d’errore …>> prese a dire Frederik in lingua inglese. <<… la possibilità che tutto vada storto esiste anche laddove operano professionisti come me e Claude. Certo, è molto bassa, ma c’è. La discriminante è in larga parte rappresentata dagli eventuali errori nella fase di valutazione dei rischi … come avrai notato il nostro caso è esemplare di una pessima valutazione della percentuale di rischio.>>
<<grazie.>> fece Piero guardando Stefano con occhi vuoti. <<di avermi rapito, intendo. Se non mi avessi portato con te non avrei mai trovato il coraggio necessario a realizzare il mio sogno.>>
<<non farlo! Metteremo le cose a posto, te lo prometto.>> Stefano stava cominciando disperatamente a capire.
<<un’occasione così non ricapiterà.>> Piero voltò il capo nella direzione di Frederik e passò all’inglese. <<la tua auto è potente, elegante. Se fossimo nella mia F355 sarebbe diverso. Tuttavia trovo questa Volvo piuttosto adatta allo scopo. Tutte le macchine hanno un’anima, Frederik.>>
Frederik aveva ascoltato quelle parole cercando di non incrociare lo sguardo di Piero. Aveva guardato fuori dal finestrino, nel buio del parcheggio, respirando a fondo e provando a concepire l’inconcepibile.
<<frederik, amico … ma quale diavolo è il problema di questo stronzo!>>
Quando Stefano si accorse che Frederik aveva scelto il silenzio, chiudendosi in un suo mondo interiore, una tachicardia improvvisa venne a provare la sua capacità di resistenza. Doveva pur esserci qualcosa da fare o da dire in grado di ribaltare completamente la situazione. Ma l’ansia lo stava divorando dall’interno e non gli permetteva di formulare pensieri coerenti.
<<cazzo, liberaci, maledetto pervertito!>> gridò con le lacrime agli occhi.
Piero si limitò a lasciare che la chiave ruotasse agilmente all’interno del nottolino. Quando udì il rombo dei centocinquantacinque cavalli erogati dal motore duemila otto valvole, non riuscì a trattenere un gemito di piacere intenso. Accarezzò a lungo il volante in pelle e il cruscotto. Accelerò a vuoto per una, due, tre, quattro, cinque volte. Ogni volta più a fondo. Respirando sempre più forte.
<<sentite la voce?>> disse.
Prese infine a emettere urla di piacere. Sempre più acute. Della bava gli colava dalla bocca e ormai non sembrava più curarsi della presenza dei passeggeri. Tastò gli interni dell’auto in maniera morbosa e infine sembrò provare una sorta di breve, intensissimo orgasmo. Poi, ripreso fiato, spinse il piede sinistro sulla frizione e il destro, completamente, sull’acceleratore. Innestò la prima marcia.
<<addio, Stefano.>> disse Frederik prima di chiudere gli occhi con l’intenzione di non riaprirli mai più.
<<come addio?>> Stefano non sembrava volersi rassegnare alla fine assurda che lo stava travolgendo. <<tutto questo è folle!>>
<<e’ una fine sublime.>> disse Piero mentre i giri del motore erano al massimo ormai da troppo tempo, producendo un rombo profondo e isterico. Tutto l’abitacolo era mosso da vibrazioni intense. <<l’uomo ha creato la tecnologia e fondendosi con essa raggiunge la massima espressione d’amore cui questa nostra società, da tempo andata in malora, consente di ambire. Abbiate fiducia, perché saremo un tutt’uno. Adesso, niente paura!>>
Piero staccò il piede dalla frizione. L’auto sgommò in avanti incollando agli schienali i tre occupanti. Per raggiungere il confine estremo del piazzale percorsero una cinquantina di metri, lungo i quali la Volvo, tra prima e seconda marcia, ebbe modo di raggiungere una velocità di ottantasette chilometri orari. Il muretto che delimitava l’ultimo piano del parcheggio presentava un bordo di cemento stranamente appuntito; tuttavia non bastò ad arginare la spinta dell’auto, che si impennava verso l’alto con un rumore di gomme squarciate. L’orrenda amalgama tra uomo e macchina era suggerita dallo schianto e dalla perversione.
Quando la polizia scientifica di Västervik fu sul posto, un rovinoso spettacolo si parava dinanzi agli occhi degli agenti. Sull’agglomerato di lamiere e carne umana sfatta e vetri e cemento, evocando la delicatezza di un fiore appena sbocciato, sorgeva, adagiata su un fanale posteriore curiosamente ancora integro, una fotografia: Piero cingeva in un abbraccio il regista David Cronenberg. Insieme guardavano sorridenti verso l’obiettivo. Sullo sfondo, la dimora canadese del maestro era quasi interamente ricoperta di neve. L’autografo del mito s’estendeva sull’intera superficie dello scatto, per obliquo.
THE END