La torre, la spada e la cadrega - The Forsaken

L'uomo sbagliato, racconto lungo, in sei capitoli

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Shaka of Virgo
view post Posted on 13/6/2011, 15:18




Su seggerimento di Vince, posterò uno dei miei racconti "lunghi", sperando che vi appassioni. Comincio con l'inserire il primo capitolo. Ce ne sono sei, alcuni più lunghi, altri meno. Penso ne metterò uno a settimana. Buona lettura...

P.s. su questo voglio commenti!



L'uomo sbagliato



Cap. 1) - I tre moschettieri

Diciassette dicembre 1994, Saint Vincent, comune della Valle d’Aosta. Il territorio montano s’estendeva, superbo, a perdita d’occhio. Nonostante il sole alto e l’assenza di nuvole, faceva molto freddo. Gli esperti avevano annunciato per l’intera Europa uno degli inverni più rigidi del secolo. In un silenzio surreale, parcheggiarono nel piazzale del Casinò de la Vallée e scesero dalla Croma. Tutt’intorno vi erano valli, fiumi e casette arroccate su promontori impensabili. Al centro, la grande struttura. Roulette francese: Massimiliano, Stefano e Donato erano li per questo.
Nel corso degli anni non furono pochi quelli che laggiù dilapidarono vere e proprie fortune. Quell’annata 1994, però, era stata segnata da un fenomeno decisamente tragico: quello dei suicidi legati al gioco d’azzardo. L’episodio che più di tutti aveva turbato l’opinione pubblica era stato quello di aprile. Una coppia di giovani imprenditori s’era tolta la vita nel parcheggio dal casinò. Dalle interviste ai croupier era emerso che i due avevano vinto molto. Ma poi la tendenza s’era invertita, mano dopo mano, fino all’ultima fiches. Così s’erano ammazzati con la complicità di un tubo di gomma attaccato allo scarico della Lamborghini, l’ultimo bene che rimaneva loro e che non sarebbe mai bastato a saldare gli ingenti debiti accumulati negli ultimi mesi.
Nelle settimane successive il casinò registrò un calo netto delle visite. Ma poi i fedelissimi tornarono, incapaci di stare lontano dai tavoli da gioco per troppo tempo. I suicidi calarono. O forse, semplicemente non se parlava più. Accantonato quel problema si ebbe un’altra, incredibile impennata degli ingressi settimanali. A novembre il casinò contava moltissimi nuovi adepti: yuppie spregiudicati, facoltosi frequentatori della Milano da bere, giovani rampanti di tutto il nord-Italia ed ereditiere annoiate e danarose. Il minimo comune denominatore di quella nuova clientela era l’età: tutti rigorosamente sotto i trenta. Andare al Casinò de la Vallée divenne un must, in certi ambienti. Una moda capace di autoalimentarsi senza l’aiuto di alcuna propaganda.
Massimiliano, Stefano e Donato, che avevano cominciato a giocare per scherzo in un pomeriggio di noia, erano tre mosche bianche. Svolgevano lavori umili e provenivano dalla periferia torinese. L’Australia era il sogno di Stefano. Ultimamente aveva memorizzato cosi tante informazioni a riguardo, che quando ne parlava, nella sua estasi eloquente e visionaria, gli amici si perdevano completamente e adottavano la causa di Stefano come fosse la loro. Già, l’Australia …
Avevano parlato poco per tutto il viaggio. Nell’aria gelida e tagliente, adesso, percorrevano veloci il viale alberato che conduceva all’entrata. Fu in quel momento che Stefano, di botto, decise di rivelare il piano:
<<punterò solo al tavolo diciassette, sul numero diciassette.>>
<<oggi è venerdì diciassette …>> mormorò Donato, riflessivo. <<… che cavolo ti salta in mente?>>
<<non immischiarti … e sta tranquillo.>> Stefano aveva lo sguardo alla montagna.
<<questa cazzata ti svuoterà le tasche.>> replicò Donato.
Massimiliano taceva. Fin dal risveglio s’era sentito come cucito addosso un senso d’ansia. Il giorno prima aveva ricevuto la visita di Stefano: al citofono gli aveva detto che l’indomani sarebbero andati al casinò e che sarebbe venuto anche Donato. Il trio al completo, aveva pensato lui, niente da obiettare. Andare al casinò è bello. Ma poi di notte non era riuscito a prendere sonno. Perché dovevano sempre fare quello che diceva Stefano? Perché anche Donato, che era intelligente, non s’era mai ribellato?
Massimiliano era considerato uno scemo, nella sua zona. La realtà è che soffriva di disturbi psichici. In quel momento non stava pensando a niente e forse non aveva neanche ascoltato le parole di Stefano.
<<me lo sento, oggi perdiamo tutto.>> piagnucolò a un tratto. <<ho una sensazione brutta, torniamo a casa!>>
<<smettila!>> fu interrotto da Stefano. <<potevi tirarti indietro prima di partire. Adesso siamo qui e si entra, capito?>>
Massimiliano abbassò lo sguardo.
<<su, sta tranquillo.>> lo rassicurò Donato. <<ci godremo il pomeriggio, senza esagerare.>>
<<non andrà così!>> era esploso Massimiliano, la saliva già raggrumata agli angoli della bocca. <<lavoriamo dodici ore al giorno per venire a sputtanare i soldi qui! Ubbidiamo a Stefano e basta!>> tossì e proseguì biascicando tra i denti. <<non ci interessa più il denaro … noi abbiamo bisogno di vincere … vogliamo vedere la grana, puntare di più e vedere altra grana. Ma così si perde per forza! E’ normale che …>>
<<basta cazzate!>> Stefano fu costretto ad ammettere a sé stesso che il ritardato sapeva ragionare bene, quando voleva. <<abbiamo perso molto, ma abbiamo anche vinto un sacco di soldi, in passato. I ristoranti di classe, le Porche prese a nolo, gli abiti firmati, le ragazze, i week end a Sharm … ricordate queste cose?>>
S’arrestò per sondare gli effetti del suo discorso, poi riprese, indicando le auto del parcheggio. <<ci sentivamo come queste persone, anzi, meglio, perché dal nulla avevamo raggiunto il loro livello.>>
<<ma non eravamo come loro.>> fece Donato. <<un paio di perdite discrete ed eccoci ripiombati nel fango, da dove siamo venuti.>>
<<con un po’ di fortuna risalirò. Se vuoi rimanere nel fango tutta la vita, fai pure. Tieni, tornate a casa.>> consegnò le chiavi della macchina a Donato. <<io entro.>>
<<ma noi …>> Donato avrebbe voluto spiegarsi.
<<in Australia voglio andarci davvero. E lo volete anche voi.>> Stefano aguzzò lo sguardo. <<quando farò il botto, potrò aiutarvi solo se in quel momento sarete con me.>> batté le mani come per sancire ufficialmente quella promessa di futura gratitudine e al tempo stesso chiudere la conversazione.
Donato guardò Massimiliano con pietà, poggiando una mano sulla sua schiena. Poi ripresero a camminare nella stessa direzione; loro dietro, il capo avanti. Tutti e tre ventiquattrenni, vestivano eleganti, come sempre in quel posto. Massimiliano aveva una larga fronte stempiata e tratti mediterranei. Donato possedeva stile da vendere e adorava la matematica. Stefano aveva occhi blu che parevano profondi come l’oceano, era un genio del computer e sembrava autoritario, ma se c’era bisogno del suo aiuto non si tirava mai indietro. In certi suoi comportamenti, però, gli amici potevano talvolta notare qualcosa di maligno e impalpabile. Era come una seconda anima sempre pronta a prendere il sopravvento sulla prima. Era come se provasse un’intensa e grottesca sensazione di fame, che non poteva mai essere saziata.
A passo sincronico giunsero alla biglietteria, pagarono l’ingresso e si ritrovarono all’interno del Casinò de la Vallée. Ai tre parve di vivere un sogno ricorrente, che a volte è sogno, a volte incubo, e a volte incubo e sogno assieme. La guerra era cominciata: il loro campo di battaglia era rappresentato dai tremilacinquecento metri quadri, distribuiti sui due piani, di quel luogo dalle apparenze raffinatissime.


To be continued ...
 
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view post Posted on 13/6/2011, 20:30

Ser Leonardo della Rovere

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Allora, questa volta di dò un commento più serio.

Iniziamo con le cose positive a pelle.
Le descrizioni, il titolo, l'ambient. E, finalmente la storia.

Tutto viene reso bene soprattutto nell'inizio ed il titolo è è incredibilmente appropriato. Il lettore, soprattutto se ha un idea di quel che si parla, viene subito scaricato dentro, ha un impressione nitida di quello che scrivi, e vuole andare avanti.
La trama è semplice, ma non banale; quanto alla continuazione, mi esprimerò nel vederla.

Impressione (unica negativa): I dialoghi. A me fanno tanto Ligabue (tipo Radiofreccia), e forse il problema è quello. Mi sembrano (poi proverò magari la prossima volta di persona a spiegarmi meglio) quasi come se l'interlocutore parlasse sempre a se stesso.
Inoltre mi sembrano "eccessivi", troppo spinti per questa ambient.
Danno l'idea di una tensione falsa.

Io, soprattutto per questo tema farei parlare molto meno i protagonisti, e mi accingerei molto di più nelle loro espressioni, nei loro silenzi.
E inoltre la loro tensione... dato che la conosci bene !

In sostanza, racchiudendo e commentando meno di quello che potrei (ma recupererò alla fine), come stile ci siamo decisamente, l'incipit è perfetto per un racconto breve poichè deve essere incisivo, curioso ed allo stesso tempo veloce, la trama si capisce e convince.
Vediamo come evolve...

 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 13/6/2011, 22:56




Innanzitutto grazie per il commento dettagliato e le notazioni positive.

Per quanto riguarda i dialoghi, li avevo pensati in linea con quello che verrà dopo, ovvero una tensione crescente, che culminerà nel capitolo finale.

Ma non voglio giustificarli forzatamente. La tua opinione è quella, ed è giusto che rimanga tale. Rifletterò volentieri su ciò che hai scritto.

A presto con gli altri capitoli!
 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 20/6/2011, 09:10




Okay, nuova settimana, nuovo capitolo.



Cap. 2) – Il numero della follia

Una volta dentro Stefano s’allontanò dai suoi amici, ordinò una birra al bar e si diresse verso il tavolo diciassette. Le allucinazioni che a quel punto lo assalirono furono del tutto inaspettate e lo portarono a fissare per diversi minuti, con aria instupidita, una parete del casinò. Nella visione Destino aveva occhi rosso fuoco, lo scrutava austero e sembrava pronto per cominciare. Che la ragione lo stesse abbandonando proprio in un momento cosi importante? Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Quando li riaprì Destino era sparito. Pensò che aveva visto il fato: possedeva sembianze antropomorfe. Cercò di riscuotersi, raggiunse il tavolo e puntò due fiches da cinque euro sul diciassette, nessun’altra mossa. Gli altri giocatori fecero le puntate e qualcuno piazzò delle fiches sul diciassette. Il croupier espresse il consueto avviso in francese - Les jeus son fait, rien ne va plus - significava che era ora di far rotolare la pallina lungo il bordo della roulette e attendere il responso del … Destino … la visione tornò a ghignare, e così com’era venuta, in un attimo, se ne andò. Stefano scosse il capo. La pallina era già finita sul nove rosso. Nessuno vinse. Attorno al tavolo partì un vociare in lingue diverse. Il croupier spazzolò le quote perse e diede il via a una nuova mano. Stefano puntò quattro fiches da cinque euro sul diciassette, il doppio di prima. Nessun’altra mossa. Il numero che uscì fu il doppio zero, vinse un anziano signore olandese che aveva giocato soltanto tre numeri. Esultò lungamente, alternando alle risa delle incomprensibili parole rivolte alla moglie accanto a lui. Gli occhi di quell’uomo parevano di color rosso fuoco … Stefano strinse i pungi. Aveva bisogno di calmarsi e avrebbe volentieri immerso la testa sotto il getto dell’acqua fredda. Ma si sentiva inchiodato a quel tavolo. Bevve un abbondante sorso di birra e accese una sigaretta, poi puntò di nuovo.
In un altro punto del casinò, lontano dal tavolo diciassette, Massimiliano passeggiava nervoso. Mormorava tra sé. Fissava il vuoto. Faceva brevi tragitti a passi corti e poi rapidamente cambiava direzione. A volte impennava il tono dei mormorii, cosi chi si trovava a passare nelle vicinanze s’allontanava con più solerzia. All’improvviso la bocca gli si deformò in un sorriso; aveva visto Donato:
<<ehi! Amico!>> gridò.
Donato aveva gli occhi di tutti puntati su di sé.
<<ciao Massi!>> abbozzò, imbarazzato. <<non c’è bisogno di urlare. Trovato l’ispirazione?>>
<<naaa! Non riesco a decidermi. Mi sento che oggi perdo tutto … e tu?>>
<<ho vinto un bel po’ di soldi.>> rispose Donato. <<stasera festeggeremo.>>
Poi propose di fare un salto al tavolo diciassette, vi avrebbero trovato Stefano.
Quando arrivarono, lui era calmo.
<<come va?>> fece Donato.
<<migliorerà.>> sussurrò Stefano.
<<certo, amico.>> Donato diede uno sguardo più ampio attorno a sé. <<ma non ti intestardire su quel diciassette.>>
<<senti …>> fece poi, avvicinandogli la bocca all’orecchio. <<… ho già vinto parecchio … andiamo a Torino e facciamo un bel giro di locali, pago io.>>
<<no.>>
<<allora punti solo su quel numero?>> s’intromise all’improvviso Massimiliano, che per timore aveva taciuto fino a quel momento.
<<l’ho giocato sedici volte.>> Stefano allungò il braccio puntando tutte le fiches che gli rimanevano, il cui valore ammontava a circa seicento euro. <<e con questa fanno diciassette.>>
Donato non sapeva se Stefano pensasse realmente di vincere. A conti fatti, tutti gli spettatori di quel teatrino, che ormai numerosi si accalcavano attorno al tavolo, sapevano che le probabilità di vittoria erano bassissime. Stefano taceva e sembrava non pensare a nulla. Era consapevole del fatto che quel pieno avrebbe pagato trentasei volte la posta, ovvero ventunomilaseicento euro, all’incirca. Davvero una bella cifra. Li avrebbe usati per offrire una cena coi fiocchi agli amici. Il resto li avrebbe messi da parte. Per l’Australia …
Il croupier lanciò la biglia. Gli istanti che seguirono furono interminabili. Dalla quiete che regnava sembrava che gli astanti si fossero del tutto immedesimati nel gioco ossessivo di Stefano. La pallina rumoreggiò negli ultimi rimbalzi metallici, evocando battiti cardiaci irregolari. Finalmente sembrava fermarsi. Eccola. Immobile. Ferma sul numero diciotto. A quel punto tutti i presenti mantennero il silenzio, come per rispetto d’un loro simile, d’un temerario che aveva cercato la gloria, trovando però soltanto la beffa. Alcuni lo guardarono come si guarda colui che si rende tragicamente ridicolo. Altri presero a parlottare sottovoce. Persino il croupier era rimasto esterrefatto, la mascella floscia e lo sguardo attonito. Lui restò impassibile.
<<volete rimanere?>> disse poi, guardando chissà dove.
<<no. Non voglio sfidare troppo la sorte.>> rispose Donato, fissando l’amico negli occhi cercando di leggergli nel pensiero.
Massimiliano non disse nulla. S’era come paralizzato e fissava la biglia ferma sul diciotto. Poi si mossero. Una volta fuori, nel gelo, Stefano sfilò una Marlboro e Massimiliano lo imitò chiedendogli da accendere. Il piazzale era ancora deserto; tutti preferivano stare all’interno, al riparo da quel freddo assurdo e insolito, a cui nemmeno i valdaostani delle montagne erano abituati.
<<e così oggi hai vinto …>> Stefano si rivolse a Donato fissandosi i piedi.
I loro fiati producevano condense fitte che si mischiavano al fumo delle sigarette.
<<già, ho vinto.>>
<<e quanto?>>
<<novecento.>>
<<e bravo, Donato.>> fece Stefano con aria meditabonda.
A questo punto è bene spiegare che tra i due amici era aperta una disputa, un eterno confronto su quasi tutti i campi dell’esistenza. Di solito era Donato a vincere. Ma non nel gioco. Nel gioco Stefano era un asso. Poker, roulette, blackjack, scommesse su partite di calcio o cavalli … non faceva differenza, il migliore era sempre lui. E questa era l’unica cosa che lo teneva allo stesso livello dell’amico. Perdere significava ammettere la supremazia dell’altro in ogni ambito. Insopportabile.
Donato acquisì un’aria complice e disse:
<<se qui in mezzo c’è qualcuno che ci sa fare, quello sei tu. Semplicemente oggi non era la tua giornata.>>
<<già.>> sottolineò Massimiliano, con occhi stralunati.
Stefano acquisì d’un tratto un’aria sollevata, si girò verso gli amici e accarezzò Massimiliano in viso. Poi disse che sarebbe andato a pisciare nel giardinetto pubblico, fuori dal parcheggio. Quando fu a una ventina di metri s’arrestò e si guardò attorno. Poco distante da lui, un uomo che non sembrava patire il freddo, fumava appoggiato alla fiancata di una Ferrari F355. Donato, come per un sesto senso, sembrò intuire qualcosa e fece per avvicinarsi, ma Stefano gli urlò di fermarsi e d’improvviso ebbe tra le mani una semiautomatica Sig-Sauer. Esplose un paio di colpi verso il cielo e si scaraventò sopra l’uomo. Poi gli puntò la pistola a una tempia.
In quel momento un altro uomo si trovava a passare da li.
<<non fare cazzate e metti giù la pistola!>> gridò, puntandogli addosso una Beretta M9. <<sono un poliziotto, adesso fai quello che ti dico!>>
<<e’ tua questa macchina?>> sussurrò isterico Stefano, disinteressandosi dell’agente.
L’uomo non perse il controllo. Rispose di si.
<<allora aprila!>>
Proprio mentre stavano entrando nell’auto, il poliziotto diede a Stefano un ultimo avvertimento.
<<fermati adesso! Altrimenti sparo!>>
A sparare per primo fu Stefano e il colpo ferì l’agente alla spalla.
Massimiliano e Donato, che al momento dei primi spari si erano tuffati a terra, osservarono la F355 rossa fiammante che partiva sgommando.
<<che cazzo facciamo!?>> gridò Massimiliano.
<<sta calmo. Se ci va bene li prendiamo.>> fece Donato. <<ho le chiavi della sua auto.>>
Salirono in macchina e partirono a razzo. La vecchia Croma appariva malandata ma era mossa da un poderoso motore a turbina duemilacinque. Donato guidava con occhi iniettati di sangue. Massimiliano provava a stare saldo e fumare una sigaretta la cui cenere danzava senza regole per tutto l’abitacolo.
<<forse dovremmo chiamare la polizia.>> mugolò nervosissimo. <<forse dovremmo lasciare fare a loro!>>
<<smettila e fidati!>> urlò Donato. <<quando farai vedere che hai le palle? Voglio prenderlo adesso! E’ ossessionato da una cosa che riguarda solo me e lui … questa storia deve finire oggi!>>
<<ma perché ha preso quell’uomo in ostaggio?>>
<<tu non sai molte cose riguardo a Stefano.>> fece una pausa per affrontare una curva a gomito a una velocità folle, poi riprese. <<sai cos’è la cocaina?>>
<<si, penso di si.>> frignò Massimiliano.
<<la coca è un altro suo problema. Oggi era fatto e la perdita al casinò deve averlo fatto uscire di testa!>>
Massimiliano sembrò non capire. L’inseguimento, intanto, stava inaspettatamente riuscendo e Donato pareva orgoglioso della sua guida sportiva e soddisfatto delle prestazioni della Croma. Tuttavia non ebbe nemmeno il tempo di pensare a che avrebbe fatto se avesse affiancato il bolide rosso, poiché finite le curve di Saint Vincent, il rettilineo dell’autostrada fornì al Ferrari terreno utile per staccare all’istante gli inseguitori. Quando Donato riuscì a portare la Croma ai duecentotrenta chilometri all’ora si rese conto che anche quella velocità non bastava a raggiungere la scheggia rampante. In fondo lo aveva saputo fin dal principio, ma ci aveva voluto provare ugualmente. Massimiliano tirò un lungo sospiro di sollievo e accese l’ennesima sigaretta.


To be continued ...
 
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view post Posted on 26/6/2011, 02:51

Ser Leonardo della Rovere

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In questo momento commentare sarebbe sbagliato.
Vogliamo il seguito!
 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 26/6/2011, 13:45




Okay, mi sembra giusto. Ecco il capitolo N°3. Messo questo ne mancano altri tre. Ma non siamo ancora a metà racconto, dato che gli ultimi cap. sono leggermente più lunghi.



Cap. 3) - L'uomo sbagliato

Nonostante il tachimetro segnasse quasi duecentosettanta, all’interno dell’auto regnava una strana calma. Stefano spense il cellulare ed estrasse la Sim.
<<scendi a centocinquanta.>> disse. <<li abbiamo staccati da un pezzo.>>
L’uomo eseguì e nel silenzio percorsero altri sette chilometri. Poi rallentarono fino a fermarsi, ritirarono il ticket autostradale e ripartirono. La pistola era ancora puntata sull’ostaggio, all’altezza della gamba destra.
<<allora, come ti chiami?>> chiese Stefano.
<<piero.>> rispose l’uomo.
<<il motivo del sequestro?>> aggiunse poi l’ostaggio.
Aveva parlato come se quella situazione fosse per lui un fatto abituale e volesse informarsi sulle cause del suo rapimento per puro capriccio. Stefano guardò l’uomo in volto e realizzò che possedeva un aspetto del tutto sgradevole: era grasso, calvo e aveva la pelle butterata.
<<ti fa schifo la mia faccia?>> fece Piero. <<cos’è in fondo il bello, se non un valore non definitivo e soggetto alla disgregazione?>>
<<non dire stronzate. Continua a guidare, se obbedisci non ti succederà niente.>>
<<dove andiamo?>>
<<in Francia ho amici che penseranno a noi.>>
Si creò nuovamente il silenzio. Poi fu Stefano a parlare per primo:
<<spero che tu non abbia figli. Se al confine farai qualche cazzata potrebbero non rivederti.>>
<<ti do una notizia.>> proferì Piero con tono allegro. <<niente figli, niente famiglia, nessun legame affettivo.>>
<<buon per te.>>
Stefano pensò che la voce viscida di quel cane faceva accapponare la pelle. Poi si disse che avrebbe fallito, che la galera non gliel’avrebbe tolta nessuno. La sua abilità col computer non gli serviva a niente in una situazione come quella. Dannazione! Capì che l’effetto della coca era terminato. Aveva bisogno almeno di un’altra striscia, così allineò col bancomat una sottile riga bianca sulla custodia di un cd. Poi arrotolò l’ultima banconota che gli rimaneva e inalò rapidamente.
<<ti piace vivere alla grande: cocaina, pistole, casinò … certo, tutto un po’ rischioso … ma eccitante, non è vero?>>
<<zitto!>> gridò Stefano. <<guida senza parlare.>>
Piero continuò, come non avesse udito l’ordine:
<<la tua vita è piena. Io, invece, sono un uomo fottuto. Si, è così che mi definirei: fottuto!!!>>
Aveva alzato tremendamente il tono di voce su quell’ultima parola. L’abitacolo aveva rimbombato. Stefano si irrigidì, ma premette la canna della pistola contro il quadricipite dell’altro.
<<lo so che ho una rivoltella puntata addosso … ma cosa vuoi che importi …>> Piero era nuovamente la calma fatta a persona. <<… stiamo viaggiando a centosessanta, se mi spari muori anche tu, è ovvio.>>
<<ehi stronzo!>> questa volta fu Stefano a urlare, mentre il sapore della coca saliva amaro in gola. <<fai quello che ti dico e non fiatare! Vuoi giocare a chi è più duro? Ho appena sparato a uno sbirro … pensi che mi farei problemi a sistemare uno come te?>>
<<non sono certo un duro.>> replicò Piero. <<se lo fossi, non sarei un cinquantenne solo e con troppi peccati per poterli confessare tutti. Te invece … giovane, dinamico, avventuroso.>>
Mentre parlava, Piero azzardava sorpassi sempre più pericolosi. La velocità dell’auto era molto al di sopra di quanto gli era stato ordinato. Stefano non se ne accorse, perso com’era nei suoi pensieri: per sequestrare persone non bastava avere una pistola, ci voleva fegato e professionalità. Di fegato ne possedeva da vendere, ma la professionalità andava acquisita sul campo, con la pratica.
Successe all’improvviso. Nel bel mezzo di un sorpasso in curva Piero assunse un’aria tra lo svagato e il paranoico.
<<mi sono sempre chiesto come sarebbe sfiorare la morte in uno schianto automobilistico, sperimentando al massimo grado la condizione di fusione tra uomo e macchina. E’ un fenomeno complesso, sai?>>
<<che stai farneticando?!>>
<<evidentemente non hai idea di che significhi “interazione biomeccanica tra essere umano e struttura tecnologica”. Un regista canadese ha trattato spesso la questione nelle sue opere.>> si voltò a guardare il rapitore negli occhi, disinteressandosi della guida. <<conosci David Cronenberg?>>
Il cuore di Stefano cominciò a martellare. Stava sfrecciando sul Ferrari di un pazzo. Un maniaco con tendenze suicide. L’uomo sbagliato. Aveva preso l’uomo sbagliato!
Come uscire da questa situazione … rifletti, rifletti, rifletti!
<<tranquillo …>> Piero si frappose tra Stefano e il suo labirintico flusso di pensieri. <<… so cosa ti passa per la testa… e se vuoi saperlo, non andrò a schiantarmi. Ti suonerà strano, ma io … ti voglio bene: tu hai scelto me per il rapimento e di questo ti sarò sempre grato.>>
Ti voglio bene … parole che ricordavano a Stefano una strana condizione di affetto, che in certi casi si sviluppa tra persone sequestrate e sequestratore: la Sindrome di Stoccolma. Ma com’era possibile che in così poco …
… non c’era più tempo per parlare o per pensare.
<<tieni i cento chilometri orari.>> disse Stefano, col tono più solido che riuscì a trovare. <<poi prendi la seconda uscita, Les Houches.>>
Il pagamento del pedaggio era l’ultimo grosso ostacolo da superare. Stefano capì che il gioco lo stava dirigendo Piero. Un gesto sbagliato, un’occhiata, una parola … e il casellante avrebbe potuto insospettirsi, intendere, avvertire gli sbirri che pattugliavano a pochi metri di distanza.
<<hai contanti?>> fece Stefano mentre nascondeva la pistola nei pantaloni.
<<molti.>>
<<bene. Paga e cerca di essere naturale.>>
Si sentiva nervoso come non lo era mai stato prima e la cocaina rendeva la sua mente inquieta e operosa. Le gambe non smettevano di prodursi in un tic nervoso che rumoreggiava sulla portiera. Si immaginava con la faccia a terra e uno stivale da sbirro che gli premeva sulla mandibola. L’attimo dopo era abbronzato, in Australia, con una vita dignitosa, una ragazza, lontano dalla criminalità, dal gioco e dalla droga, come aveva sempre sognato. Poi, di nuovo nelle mani dei militari, in una stanza angusta, l’odore acre, costretto a un interrogatorio, lo sbirro buono lo prendeva a schiaffoni, quello cattivo ghignava e gli spegneva in faccia mozziconi. Hai ammazzato uno dei nostri e noi ammazziamo te! Che cazzo gli era venuto in mente! Sparare a un poliziotto e scappare con un ostaggio … per cosa? Non ce n’era motivo! Solo uno scatto di nervi dovuto al rancore della sconfitta, uno scherzo della mente e di quel suo cuore selvaggio …
… era ancora immerso in quei pensieri quando Piero aveva già pagato il pedaggio, innestato la prima e fatto ripartire il bolide. Le volanti della polizia erano state buone, al loro posto. Seguirono minuti di silenzio, nei quali Stefano si rese conto d’aver sfiorato la paranoia. Ebbe tempo di riordinare le idee e riassestare il respiro. Poi parlò:
<<fino ad ora hai fatto il tuo dovere. Percorri la strada fino in paese e fermati al primo bar sulla destra, “Les Amies de Claude”.>>
Stefano cominciava a sentirsi più calmo e dare meno peso alle stranezze dell’ostaggio; in fondo Piero stava collaborando. Nuvole nere vennero a oscurare il sole, privando quella regione della normale luce pomeridiana.


To be continued ...
 
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view post Posted on 28/6/2011, 02:37

Ser Leonardo della Rovere

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Commento giusto qualcosina, e lo faccio nei due pezzi insieme.
Potrebbe essere prematuro in realtà, ma dato che mi sembri avido di commenti ne do un paio.

Positivi: La svolta è pazzesca, e non si ha il tempo di accorgersi del colpo di scena. Ottimo. Mi piace soprattutto dentro il colpo di scena come si evolvono le cose (o come si stanno evolvendo). Buono anche il dialogo fra i due, perchè da esattamente (almeno credo) l'idea di quello che volevi rappresentare. L'ho visto molto come uno spezzone di un film adrenalinico e ciò mi sembra buono.

Negativo: Corta, forse per le mie aspettative, la parte sul casinò. Ti domanderei se lo hai fatto apposta (per partire subito con la trama) ma in ogni caso mi sembra che tu abbia suscitato molte aspettative all'inizio sul gioco, ma lo abbia liquidato forse troppo velocemente. Avrei optato per una lunga descrizione dentro, abbastanza da far credere al lettore che si sia arrivato alla parte centrale del racconto per sconvolgerlo ancora meglio, e dall'altra parte per accennare meglio il senso della svolta.

Comunque come al solito, sono impressioni pure, proverò nei commenti finali a dare un contributo più "accademico".
 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 3/7/2011, 15:19




Beh si, in effetti l'introduzione è molto incentrata sul casinò, ma la storia è concettualmente basata su altro. Sinceramente non saprei che elementi introdurre per legare ulteriormente casinò e trama.

Ieri riflettevo sulla pratica della correzione e mi dicevo che troppo spesso ne ho fatto una specie di malattia. A ogni rilettura di un mio scritto, in passato, ho sempre trovato cose che "non andavano bene" o che si potevano migliorare. In realtà, oggi, credo che l'evoluzione di uno scrittore debba passare da percorsi sempre nuovi. La ricerca della perfezione ci priva della possibilità di dare libero sfogo alla nostra fantasia.

Quindi, credo, va bene rivedere attentamente e più volte. Ma quando la rilettura diventa "correzione cronica" smette di essere d'aiuto. Tanto ci sarà sempre qualcosa fuori posto. Questo dipende anche dal fatto che noi stessi siamo ogni giorno un pochino diversi dal giorno precedente.

Questo mio stesso racconto (scritto due anni fa) mi sembra stilisticamente banale, rispetto a ciò che scrivo oggi. Tutto normale, spero.

Okay, mi sono dilungato fin troppo... posto il capitolo 4 sperando che piaccia e incuriosisca nei riguardi del finale.
P.s. i dialoghi lo rendono un pochino più lungo dei Cap precedenti.




Cap. 4) - Indietro non si torna


Alcune grosse gocce erano l’inizio di un temporale coi fiocchi. Claude, invecchiato e un po’ ingrassato, in quel momento stava uscendo dal bar con un sacco dell’immondizia. Arrestatosi sotto la pioggia che cominciava a scendere pesante scrutò il Ferrari con attenzione; vide Stefano intimare qualcosa alla persona al lato guida e poi scendere dall’auto. Quando furono vis a vis ci fu un attimo di esitazione. Poi s’abbracciarono forte sotto l’acqua che cadeva ormai violentissima.
<<adesso entriamo.>> disse Claude. <<siamo già fradici.>>
Quando furono nel bar Claude indicò agli ospiti un tavolo e disse che sarebbe tornato con caffelatte e muffin appena sfornati.
<<qui possiamo mettere qualcosa nello stomaco.>> Stefano parlò non appena furono seduti. <<claude è uno con le palle. Vedi di non farlo incazzare e parla il meno possibile.>>
<<che succederà adesso?>> domandò Piero in tono neutro.
<<con l’aiuto di Claude torneremo indietro puliti. Tu per la tua strada e io per la mia.>>
Piero rifletté qualche istante, poi disse:
<<quindi … mi lasci andare e non mi chiedi neanche un po’ di denaro?>>
<<esattamente. Ho cambiato i miei piani e appena possibile ti lascerò libero. Tornerai alla tua vita come se nulla fosse successo. Non ti chiedo soldi. Ma devi promettermi una cosa.>>
<<parla.>>
<<sembri un tipo a posto e so che collaborerai. Quello che dovrai fare è semplicemente questo: non devi fornire agli sbirri elementi che possano portare a me. In altre parole, non devi fottermi.>>
Piero fissò Stefano per alcuni secondi.
<<certo, inventerò una storia.>> disse poi. <<ma a questo punto, sei tu che devi fare qualcosa per me.>>
<<non sei nella posizione di porre condizioni …>>
<<se non mi ascolti non se ne fa niente.>>
Stefano sospirò. Dopo aver riflettuto fece un cenno d’assenso col capo.
<<okay.>> disse Piero. <<la mia proposta è questa. Partiamo. Voglio provare l’adrenalina della fuga, superare altre frontiere, ingannare altri sbirri. Fingiamo che il rapimento continui. Sarò tuo complice. E poi … stare lontano dall’Italia per un po’ non ci farà male. Finito il viaggio ci separeremo.>>
<<quello che chiedi è un tantino strano …>> cominciò Stefano.
<<adesso mi devi spiegare.>> s’intromise Claude, poggiando sul tavolo un vassoio stracolmo. <<per quanto mi faccia piacere, non riesco a immaginare il motivo di questa visita.>>
Nonostante fosse di lingua madre francese, Claude si esprimeva in un italiano perfetto.
<<certo. Ti racconterò tutto.>> disse Stefano.
<<signor Claude …>> fece Piero. <<… di cosa si occupa al momento?>>
<<sono un semplice barista!>> rise Claude. <<e lei? … signor?>>
<<no, non parlare con lui.>> fece Stefano. <<fa come se non ci fosse.>>
Claude assunse un’aria pensierosa.
<<allora, perché sei qui?>> disse poi.
<<il motivo è … come dire … difficile da spiegare.>>
<<okay, non è una visita di piacere.>> si rabbuiò il francese. <<fammi un quadro sintetico.>>
<<devo uscire pulito da una situazione incasinata. Sono venuto da te perché ho bisogno delle tue capacità. Sai a cosa mi riferisco …>>
Claude, meditabondo, guardò Piero con la coda dell’occhio. Cominciava a capire che Stefano voleva da lui molto più di quello che aveva immaginato in un primo momento.
<<beh, non voglio problemi.>> rispose dopo una mezza pausa. <<adesso ho una figlia e una moglie e loro sono tutto per me. Anni fa ti avrei fornito un piano e ti avrei aiutato a metterlo in pratica. Ma adesso sono fuori.>>
Stefano aveva l’aria di chi si ritrova di fronte una vecchia, incredibile conoscenza, della quale ha dimenticato numerose sfaccettature del carattere e della parlata. Solo si aspettava di ricevere maggior disponibilità da parte sua. Allora prese a recitare, sperando che l’amico non s’accorgesse:
<<se sapessi quello che è successo. Un vero casino … che ci vuoi fare, ero stressato … mi sentivo come un maledetta bomba a orologeria pronta a esplodere da un momento all’altro … e poi … boom! … un bel disastro del cazzo …>>
Claude seguiva attento. Al tempo stesso cominciò a ripercorrere con la mente le vicende che avevano unito la sua strada con quella di Stefano.
<<non ho dimenticato ciò che hai fatto per me, anche se sono trascorsi dieci anni. Il tempo passa in fretta … guarda come sei cresciuto, sei un uomo adesso.>>
Stefano si grattò la testa e guardò in basso.
<<non mi capita spesso di trovarmi in difficoltà.>> proseguì Claude. <<ma quella volta ero nei guai.>>
Okay, sta funzionando, si sta aprendo al dialogo e ai ricordi.
<<non c’è di che, amico. E’ acqua passata.>> buttò li Stefano.
<<so di non essermi ancora sdebitato.>> fece Claude.
<<non sono venuto per quello. E’ una storia vecchia: mi chiedesti di aiutarti col computer e io lo feci. In fondo mi rubasti soltanto un pomeriggio della mia noiosa adolescenza.>>
<<non fu semplice come dici. Eri un bambino prodigio, un vero mago dell’informatica … e non immagino cosa puoi fare oggi. Come te ce ne sono pochi anche all’interno delle forze armate.>> Claude bevve un lungo sorso di caffè, poi riprese. <<ricordo che a quel tempo lavoravo ancora per i servizi segreti dell’esercito. Per portare a termine quella missione mi cacciai in una situazione più grande di me. Chiamai dalla Thailandia il colonnello Bresson, fu lui a mettermi in contatto con te. Ricordo che quando tu risposi al telefono con quella voce da bambino mi venne voglia di riattaccare immediatamente; per fortuna non lo feci. In poche ore riuscisti penetrare nella loro rete e mi fornisti i codici per uscire da quell’inferno. Fu una delle avventure più incredibili della mia vita e se oggi posso raccontarlo è solo grazie a te.>>
Piero ascoltava con smisurato interesse quella storia che sembrava la sceneggiatura di un film hollywoodiano. I suoi occhi erano avidi e di tanto in tanto si passava la lingua sulle labbra. Pareva tornato alla vita dopo un’eternità d’oblio.
<<hai ragione.>> Stefano provò a sfruttare a suo favore la direzione che stava prendendo il discorso. <<senza di me non saresti uscito vivo da quell’incubo. Non pretendo nulla da te e se mi dirai di andare via lo farò. Ma adesso mi trovo io in un incubo. Probabilmente la polizia è già sulle mie tracce. Claude, non so proprio come uscirne.>>
Il francese guardò la pioggia che scrosciava fuori dalla finestra e si barricò dietro al silenzio. Poi chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie. Li riaprì e osservò l’interno del bar: quel locale rappresentava la sua vita nuova. Pensò a sua moglie, a sua figlia e a quella tranquillità così duramente conquistata. Tutto l’opposto rispetto agli “anni di fuoco”, come li definiva lui … anni memorabili … ricordava l’adrenalina, le esperienze condivise assieme a compagni d’avventura ormai perduti … e quanta nostalgia provava adesso … troppa per poterne sopportare il peso e rifiutare di offrire un po’ d’aiuto a un amico vero.
<<avanti, dimmi tutto quello che è successo.>>
E’ tornato quello di una volta!
Piero ebbe uno scatto nervoso che determinò un movimento involontario delle gambe.
<<grazie, amico mio. Partirò dall’inizio. Ma … prometti di non giudicarmi per quello che ho fatto.>>
<<non lo farò.>>
Stefano si concentrò, poi prese a esporre i fatti.
<<e’ un anno che gioco d’azzardo. Con un paio di amici nel fine settimana andiamo al casinò di Saint Vincent. Ultimamente è diventata una specie di malattia. Non sempre chiudiamo in positivo. E quando vinciamo, facciamo la bella vita fino a che non finiscono gli argenti.>>
<<va avanti.>> annuì Claude.
Stefano chiese a Piero di allontanarsi. L’altro eseguì, rimanendo a portata d’occhio.
<<oggi ho giocato tutto sul diciassette.>> proseguì Stefano. <<al tavolo numero diciassette.>>
Claude si passò una mano sulla faccia. Sapeva che quel giorno era un venerdì diciassette e pensò che Stefano doveva essere andato fuori di testa per sfidare la sorte in maniera così stupida.
<<ho perso tutto. Ma non è questa la parte peggiore.>>
<<lo immaginavo.>>
<<fuori dal casinò mi sono messo a discutere con Donato e Massimiliano, gli amici di cui ti parlavo. Poi a un tratto ho visto rosso. Ho odiato questo mondo. Ho odiato la mia vita. Lo so … è da pazzi, ma qualcosa è scattato dentro di me, così ho preso in ostaggio Piero e con la sua macchina siamo arrivati fino a qui.>>
<<pensavo l’avessi rapito per estorcergli denaro.>>
<<e’ quello che crede anche lui … cosi gliel’ho lasciato credere. Ma gli ho già detto che ho cambiato idea e che lo lascerò andare in cambio del suo silenzio con gli sbirri.>>
<< brutta storia.>> mormorò Claude.
<<lo so. Ma non è finita. Prima di lasciare il parcheggio ho sparato a uno sbirro. Mi aveva puntato la pisola addosso. Credo di averlo ferito a un braccio.>>
<<okay. Che è successo durante la fuga?>>
<<massimiliano e Donato hanno provato a inseguirci con la mia Croma, ma li abbiamo staccati quasi subito. Non ho visto nessun’auto della polizia dietro di noi e al casello è andato tutto liscio.>>
<<l’autostrada era l’ultimo posto dove andare a cacciarsi.>>
<<ho improvvisato, cazzo! Non le faccio tutti i giorni queste cose. Claude, che devo fare? Piero ha già dichiarato di voler espatriare … vuole viaggiare, divertirsi un po’ … ha promesso che se lo assecondiamo collaborerà.>>
<<e’ tutto?>> chiese Claude.
<<e’ tutto, amico.>>
Stefano non impiegò molto per capire che da li a pochi istanti Claude avrebbe cominciato a impartire ordini che dovevano essere eseguiti senza fare domande, se voleva che tutto filasse liscio. Si aspettava una scena in stile Pulp Fiction. Pensava a quando Vincent e Jules si recano a casa di Jimmy dopo aver ammazzato per sbaglio un ragazzo e poi arriva Winston alias Mr. Wolf che “risolve il problema” del cadavere. Il film di Tarantino era uscito proprio quell’anno, nel 1994, ottenendo un successo incredibile in tutto il mondo. La realtà non si discostò molto dalla pellicola.
<<va bene.>> cominciò Claude. <<ti spiego in che casino ti sei cacciato. Dobbiamo dare per scontata l’alternativa peggiore, eviteremo così di avere sorprese in futuro. La polizia potrebbe averti già identificato. Probabilmente conoscono anche l’identità del tuo ostaggio.>> dopo una pausa per buttare giù mezzo muffin, Claude riprese. <<voglio essere franco con te, in qualunque modo cercassi di rientrare in Italia, per fare qualsiasi cosa che non sia costituirti, andresti incontro a un fallimento. Il tuo volto potrebbe essere stato segnalato anche in televisione. Hai sparato a uno sbirro, Stefano: i tuoi passi verrebbero ripercorsi fino a scovarti. Se decidi di rimpatriare, d’ora in poi dovrai vivere fuggendo e non c’è modo di risolvere la questione.>> fece un’altra pausa e respirò a fondo. <<inoltre dovremmo sistemare Piero, in modo da cucirgli la bocca per sempre. All’estero, invece, avremmo maggiori opzioni operative sotto ogni punto di vista.>>
<<no, per Dio. Non voglio uccidere nessuno. Che vuol dire che all’estero avremmo maggiori opzioni?>>
<<intendo proprio questo.>> fece Claude. <<anche io non voglio più ammazzare, ho abbandonato quella vita. Adesso ti farò una domanda e dovrai rispondermi sinceramente.>>
<<okay.>>
<<ti fidi di Piero? Credi davvero che collaborerà con noi se lo lasciamo andare?>>
<<penso di si. E’ sincero. Ma dobbiamo fare come dice. Dobbiamo portarlo in giro per un po’, come in una fottuta gita scolastica.>>
<<e’ perfetto. Assecondandolo faremo anche i nostri interessi. Vedi, lontano dall’Italia potremmo lasciar vivere il tuo ostaggio.>>
Claude osservò Piero. Poi tornò a guardare Stefano e proseguì:
<<farò in modo che viaggiate per un po’. Una volta fuori dall’Europa vi dividerete e tu potrai nasconderti con maggior efficacia. A quel punto, anche se lui parlerà, tu ti sarai già reso introvabile. Sarà un piano un po’ complesso, ma se non vogliamo ucciderlo dobbiamo agire in questo modo.>>
<<sei un genio, Claude.>>
<<aspetta a esultare. Non siamo che all’inizio, la parte difficile deve ancora venire. Ora, se sei davvero pronto ad andare via e non tornare più, dimmi la destinazione. Questa è una scelta che spetta a te.>>
Stefano non rispose. Fece un cenno del capo e Piero fu di nuovo al tavolo.
<<allora, sei pronto per un bel viaggetto?>> gli disse Stefano appena fu di nuovo seduto.
<<non chiedo di meglio.>> fece Piero. <<non ho motivo per tornare in Italia, tutto ciò che voglio è scappare da qualche parte assieme a te.>>
<<perfetto.>> assentì Claude.
Poi si rivolse a Stefano:
<<dicevamo … dove vorresti andare?>>
A quel punto Stefano sembrò perdersi in riflessioni profonde, ma conosceva già la parola:
<<australia.>> sussurrò infine.
Piero ebbe un brivido d’eccitazione.
<<non è facile.>> sospirò Claude. <<ma si può fare. Stasera farò delle telefonate. Partiremo tutti e tre domattina. Io vi accompagnerò per la prima parte del viaggio.>>
<<ho un’altra richiesta.>> disse Piero. <<se la esaudirete collaborerò fino alla fine.>>
<<sentiamo.>> fece Claude.
<<voglio che mi procuriate un film di David Cronenberg, sono un appassionato di cinema e stasera vorrei vedere un suo film prima di addormentarmi.>>
<<mi spiace, non è possibile.>> rispose l’altro, risoluto. <<abbiamo cose più importanti cui pensare. Passiamo ad occuparci della macchina. Quella F355 desta sospetti di fronte al bar. Portatela dall’altra parte del locale. Io passo dall’interno.>>
Quando Stefano e Piero furono sul retro, Claude aveva già aperto un cancello ricoperto d’edera che si spalancava laddove sembrava sorgere un muro di confine della proprietà. Entrarono nel giardino e parcheggiarono la Ferrari all’interno di un capannone che pareva la via di mezzo tra una stalla e una stanza delle torture. Usciti da lì dentro, il varco era nuovamente invisibile. Stefano immaginò che nemmeno la moglie di Claude sospettasse dell’esistenza di quel nascondiglio. Piero non espresse nessun commento sul fatto che probabilmente non avrebbe mai più rivisto la sua fuoriserie, ma dallo sguardo pareva come in lutto.
<<andiamo a tavola.>> fece infine Claude. <<ho detto a mia moglie che abbiamo ospiti italiani e ha cucinato pasta per tutti. A lei e a mia figlia ho raccontato che siete amici di passaggio e che domani sarò dei vostri per una gita in montagna, quindi non tirate fuori questa storia a cena. Parlate un po’ di francese?>>
<<un po’.>> fece Stefano.
<<lo parlo molto bene.>> rispose Piero.
<<allora cerca di essere colloquiale.>> disse Claude guardando l’ostaggio. <<devi sembrare davvero un mio amico. Dammi del tu e fai qualche battuta divertente, se ti riesce.>> si girò di spalle. <<non traditemi di fronte alla mia famiglia con qualche stronzata, altrimenti sarò io a tradire voi. In maniera molto più violenta di quanto possiate immaginare.>>
<<non ti tradiremo, amico. Sento che andrà tutto per il meglio.>> fece Stefano.
<<non ti tradiremo.>> sottolineò Piero.


To be continued ...

Edited by Shaka of Virgo - 9/7/2011, 12:11
 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 10/7/2011, 15:56




Siamo arrivati al penultimo capitolo.



Cap. 5) - Il piano perfetto di Claude



<<manca molto?>> domandò Piero.
<<alla fine del ponte saremo in Svezia.>> disse Claude, che era alla guida. <<d’ora in poi dovete cavarvela senza di me. Ma vi lascerò in buone mani.>>
Stefano si sentiva sfinito, erano in viaggio da quella mattina all’alba e aveva guidato quasi sempre lui. Claude aveva preso il volante soltanto ad Hamburg, poco prima del confine tra Germania e Danimarca. Era un pezzo che procedevano a velocità moderata per via dell’asfalto ghiacciato. Inoltre il riscaldamento dell’auto non riusciva a contrastare del tutto il freddo che penetrava dall’esterno. Nonostante l’avesse richiesto più di una volta, a Piero non era stato concesso di guidare. Riguardo al percorso, Claude aveva optato per strade secondarie; aveva detto che in quel modo avrebbero diminuito il rischio di imbattersi in imprevisti di natura legale, aumentando però la lunghezza del percorso di alcune centinaia di chilometri. Il viaggio durava da diciotto ore circa. Fino a quel momento era filato tutto liscio. L’auto su cui si stavano spostando era una Citroën GS 1220 del ’77 color ruggine. Claude se l’era procurata presso un amico sfasciacarrozze e sarebbe servita esclusivamente per quel tragitto.
<<claude, che farai adesso?>> fece Stefano con lo sguardo al mare.
<<farò sparire questo catorcio e tornerò a casa col primo volo.>>
<<non ti fermi a mangiare un boccone con noi?>>
<<non credo avrete il tempo di cenare. Ad ogni modo devo rientrare in fretta, c’è molto lavoro al bar. Mia moglie e mia figlia non possono mandare avanti la baracca da sole.>>
<<come posso ringraziarti, amico mio?>>
<<facendo esattamente quello che ti ho spiegato.>>
Poi Claude distolse per un momento gli occhi dalla strada, guardò l’ostaggio e disse:
<<sicuri di ricordare ogni cosa?>>
<<non si preoccupi, signor Claude. Il piano è chiaro.>> rispose Piero.
<<secondo me.>> disse Claude. <<non hai capito niente di quello che ho detto.>>
Sulle labbra dell’altro si disegnò un lieve sorriso. Poi, mentre il ponte Øresund apriva le porte della Svezia, Piero cominciò a parlare:
<<ad attenderci qui a Malmö c’è Frederik, un uomo di cui ti fidi molto. Lui ci rifornisce di dollari australiani e ci accompagna nella capitale. In sua compagnia non facciamo assolutamente niente, infatti è Frederik a gestire qualsiasi tipo di rapporto con terzi fino a Stockholm. Una volta arrivati in Hornsgatan, nel quartiere di Södermalm, Frederik ci consegna a Erika, una hostess che ci porta in aeroporto e ci fa salire sul volo “Stockholm Arlanda – Sidney Kingsford Smith” senza dover mostrare documenti o acquistare alcun titolo di viaggio.>>
Claude constatò che Piero aveva registrato ogni minimo dettaglio del progetto di fuga che lui aveva illustrato durante il tragitto in auto. Con un lieve senso di apprensione aveva notato la sua aria estatica mentre riassumeva quelle prime fasi del piano.
<<sono colpito.>> fece il francese.
E lo era davvero, se non altro per la proprietà di linguaggio e lo strano, cerebrale entusiasmo con cui l’altro aveva mostrato di apprendere i particolari.
<<e poi? Va avanti.>> disse Claude.
<<alle 6:48 di domattina il volo 42297 della Scandinavian Airlines si stacca dal suolo di Stockholm con rotta Pechino, Cina. Qui facciamo un breve scalo e dopo dieci ore e mezza di volo complessive arriviamo a Sidney, Australia.>>
A Stefano brillarono gli occhi … l’Australia … quella storia era cominciata per errore, ma adesso, incredibilmente, sembrava volgere tutto a suo favore. Si disse che rivolgersi a Claude era stata la cosa più giusta che avesse potuto fare. Intanto Piero continuava:
<<usciti dal Kingsford Smith di Sidney accendiamo il cellulare che hai dato a Stefano. Nel giro di qualche minuto ci contatta un certo Joseph per darci indicazioni su come raggiungere il suo ranch. Se dovessimo avere problemi col cellulare, possiamo raggiungerlo da noi; Joseph vive fuori città, nei pressi di Prestons, il ranch è sulla South Western Mwy, chiedendo di lui a qualche contadino lo si dovrebbe rintracciare facilmente. Joseph si occuperà di noi, che ce ne staremo buoni e passeremo un po’ di tempo assieme alla sua famiglia. Poi, ognun per sé.>>
Piero aveva finito. Guardava fuori dal finestrino e sembrava essere molto tranquillo, come in pace col mondo intero. Gli spazi aperti erano ormai alle spalle e l’area metropolitana soppiantava i campi e le pale per l’energia eolica. La neve si era accumulata in montagnole che facevano da guard rail naturali lungo i lati delle strade.
Di fronte a quell’esagerata dovizia di dettagli, Claude aveva provato un brivido lungo la schiena e il dubbio gli aveva trafitto il cervello. Piero. Chi era veramente? Possibile che fosse riuscito a fingere così bene? E poi perché recitare la parte dell’idiota? Poi guardò Stefano. Vide un genio del computer col vizio del gioco d’azzardo e forse con qualche problema di droga. Un ragazzo troppo giovane per quella vita. Osava immaginarsi libero dai guai …
<<a che pensi?>> chiese Stefano.
<<a mia figlia.>> fece Claude dopo un attimo di esitazione. <<domani è il suo compleanno.>>
Per la verità Claude pensava che sarebbe stato meglio optare per una soluzione drastica con Piero, sbarazzandosene in maniera definitiva quando ancora si trovavano in territorio amico. Ucciderlo in Svezia era fuori discussione, troppe le incognite. Con quello strano piglio intellettuale e quel fare taciturno, adesso appariva distante dalla figura dell’ostaggio collaborativo: per Stefano, più avanti, avrebbe potuto rappresentare un problema. Era troppo squilibrato, quel pezzo di merda, per sparire e starsene buono per sempre. Ad ogni modo, per il momento, lui stava per uscire di scena. Non poteva riconsiderare ogni cosa proprio adesso: la percentuale di rischio era troppo alta. Doveva tornare dalla sua famiglia. Possibilmente non dentro a una bara. Una volta rientrato in Francia avrebbe fatto delle ricerche su Piero per assicurarsi che non rappresentasse una minaccia, in caso contrario l’avrebbe scovato e ammazzato. Ma solo dopo aver studiato un piano d’azione che tutelasse completamente sé stesso. Claude si ridestò da quella baruffa di pensieri avvistando il Turning Torso, la bianca torre a spirale di Malmö, il luogo dell’incontro.
Lui era già li ad aspettare. Un display elettronico indicava su di un grattacielo che l’inverno svedese si traduceva in meno quindici gradi centigradi; per Frederik, che se ne stava col cappotto sbottonato sul davanti, evidentemente non era una temperatura particolarmente rigida, se paragonata a ciò cui la terra natia lo aveva abituato nel corso degli anni. I suoi capelli erano biondi, di media lunghezza, ingellati all’indietro e disegnavano una precisa riga di lato. La rasatura della barba era perfetta, le basette lunghe e sottili. A quell’ora di sera non si vedeva nessun’altro nei paraggi. Con uno stridio di freni a tamburo, la Citroën si fermò di fianco alla Volvo 940 Super Polar di Frederik, un bestione nero del ‘92 appartenente alla famiglia delle station wagon di lusso. Claude si catapultò fuori dall’auto e sorridendo storto si espresse in uno svedese eccellente:
<<non sei cambiato di una virgola, curi ancora la tua immagine come una prima donna!>>
<<e’ un piacere rivederti.>> Frederik rise e abbracciò l’amico. <<da quanto non vieni in Svezia?>>
<<saranno almeno quindici anni.>> fece Clade. <<questa fredda terra mi è molto mancata.>>
<< I miei capi avrebbero voluto collaborare ancora con te e io avrei voluto rivederti qualche volta. Ma sei stato assolutamente irrintracciabile.>>
<<credimi …>> disse Claude, con aria sinceramente desolata. <<… ho pensato spesso agli anni di fuoco, ma ho una famiglia adesso. E’ per questo che ho tagliato i ponti. Altre priorità.>>
Lo svedese sembrò non capire e scoppiò a ridere. Claude sapeva che avrebbe reagito a quel modo.
<<altre priorità?>> fece Frederik.
<<amico mio … quando nascerà tuo figlio, forse capirai.>>
<<okay, okay.>> tagliò corto il professionista. <<se vuoi che quei due siano a Södermalm in orario, dobbiamo andare.>>
<<hai ragione.>> disse Claude, mentre faceva segno a Stefano e a Piero di scendere dall’auto.
<<una curiosità.>> sussurrò Frederik. <<se sei veramente uscito dal giro, come mai hai deciso di aiutare questi due? … chi sono? … e che hanno combinato?>>
<<e’ una lunga storia.>> sospirò l’altro. <<posso dirti che ero in debito con Stefano, il ragazzo con gli occhi azzurri. Mi salvò la vita e adesso gliela sto salvando io. Durante il viaggio ti spiegherà lui stesso, se vorrà … e se riuscirete a capirvi!>>
<<certo.>>
<<un’ultima cosa.>> disse Claude fissando l’amico. <<grazie di tutto. E tieni d’occhio il grassone.>>
<<non preoccuparti. Quando ci rivedremo, tra altri quindici anni, farai qualcosa per me e ti sdebiterai.>> rispose Frederik, poi si rivolse in inglese agli altri due. <<dobbiamo andare.>>
<<come posso ringraziarti?>> disse Stefano guardando Claude.
<<realizza i tuoi sogni.>> ribatté l’altro con una strana freddezza.
<<ore voire, signor Claude.>> la voce di Piero suonò appiccicosa e sfuggente.
Claude strinse le labbra, salì sulla Citroën e ripartì nella direzione del viale innevato.


Massimiliano e Donato si trovavano li dentro da diverse ore. La centrale di polizia di Saint Vincent era un luogo piccolo e soffocante. Gli erano stati offerti dei tramezzini e una branda su cui stendersi. L’interrogatorio era cominciato dopo molto tempo e stava continuando da chissà quante ore.
<<quindi confermate di non avere idea di dove possa essere diretto il vostro amico con quell’ostaggio.>> l’ispettore Boyer aveva parlato con aria stanca.
<<proprio cosi.>> fece Donato. <<all’improvviso ha estratto quella pistola e l’ha puntata sul tipo grasso della Ferrari.>>
<<non sapevamo che ce l’aveva, la pistola.>> aggiunse Massimiliano con tono implorante.
<<per vostra informazione, con quella rivoltella, il vostro amico ha ferito un agente della polizia svizzera. E la storia della coca non fa che aggravare la sua posizione.>>
Massimiliano si era lasciato sfuggire che Stefano aveva assunto della cocaina. Glielo aveva raccontato Donato durante l’inseguimento in auto e lui lo aveva confessato prima ancora che l’interrogatorio cominciasse.
<<la cosa strana …>> fece Boyer, come contemplando l’infinito. <<… è che affermate di non sapere nemmeno che motivo potesse avere il vostro amico per prendere con sé un ostaggio.>>
<<ma è la verità!>> scoppiò Donato. <<non sappiamo cosa gli sia passato per la testa!>>
<<sarà meglio per voi che sia vero. Abbiamo dato l’allarme in tutta Europa e la polizia svedese ci ha appena segnalato dei sospetti che combaciano con la descrizione. Quando li prenderemo arriveremo alla verità. E la confronteremo con la vostra versione.>>



To be continued ...
 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 16/7/2011, 15:50




Ohi Vince... probabile mio unico lettore... ci sei? Letti gli ultimi due cap.?
Do una rilettura veloce all'ultimo e a giorni lo pubblico. ;)
 
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Shaka of Virgo
view post Posted on 18/7/2011, 09:55




Inserisco il capitolo finale. Inutile dire che mi farebbe piacere leggere alcuni commenti, che non devono essere per forza compiacenti. Questo è un racconto che mi aveva molto divertito nella fase di scrittura e rileggerlo e correggerlo è stato altrettanto piacevole. Spero piaccia anche a qualche cyber-lettore... e che il verbo si diffonda il più possibile! ^_^




Cap. 6) - Realizzazione di un sogno


Nonostante i centosessanta fissi, all’interno della Volvo non si udivano rumori. Di tanto in tanto la vettura sbandava per via del suolo ghiacciato, ma Frederik sembrava abituato al problema. Stefano era immerso nei suoi pensieri: rifletteva sulla stranezza del fatto che si stesse dirigendo assieme a un ostaggio, probabilmente affetto da Sindrome di Stoccolma, proprio nella città di Stoccolma.
<<allora …>> Frederik si rivolse a Stefano che sedeva al lato passeggero. <<… che è successo? Ci aspettano seicento chilometri di autostrada … possiamo farceli tutti in silenzio … o puoi scegliere di raccontarmi il motivo di tutto questo casino.>>
<<claude non te l’ha detto?>> Stefano era esterrefatto.
<<non c’è stato il tempo.>>
<<e tu esegui ordini senza sapere?>>
<<più che eseguire ordini, faccio un favore a un fratello. Quando ho sentito la sua voce nella cornetta ero già sicuro che avrei acconsentito … qualsiasi cosa avesse detto. Abbiamo lavorato assieme per molto tempo, in passato. Per me è di famiglia. E lo sarà sempre.>>
<<e tu …>> disse poi lo svedese. <<come hai conosciuto Claude?>>
<<l’ho aiutato a uscire da una brutta faccenda molti anni fa.>> fece Stefano. <<ci so fare col computer e così …>>
<<chi è lui?>> Frederik indicò Piero col capo.
<<in un certo senso … è lui il motivo di tutto il casino.>> rispose Stefano.
Lo svedese sembrava vagamente infastidito da quello strano personaggio che si limitava a stare zitto e fissare il paesaggio imbiancato dal sedile posteriore della sua Volvo.
<<devo andare in bagno.>> disse Piero bruscamente.
<<va bene. Reggila fino a Stockholm.>> ribatté Frederik.
<<se non freni immediatamente ti piscio in macchina.>> fece l’altro.
<<non fare caso a lui.>> disse Stefano. <<alla prima area di servizio fermiamoci cinque minuti, okay? Siamo in viaggio da questa mattina alle quattro, Cristo Santo …>>
<<certo.>> assentì Frederik controvoglia.
Dodici chilometri dopo entrarono in un’area di sosta che pareva più un rifugio di montagna, a giudicare dalla struttura rustica che incorporava bar e servizi. Il parcheggio era minuscolo e avrebbe ospitato una quindicina di macchine al massimo; in quel momento era vuoto. Frederik e Stefano camminarono fino all’ingresso della casupola, avendo cura che Piero rimanesse sempre in mezzo a loro. Era tutto ghiacciato. La temperatura doveva essere ulteriormente scesa col sopraggiungere della notte.
<<non prendiamo neanche un panino?>> disse Stefano quando furono all’interno. <<ho i crampi allo stomaco, sono a digiuno da ieri sera.>>
<<quando sarà tutto finito mangerai quanto vorrai.>> fece Frederik. <<adesso non c’è tempo.>>
L’ostaggio entrò in bagno, gli altri due rimasero fuori, a una ventina di centimetri. Passarono un paio di minuti. Poi ne passarono altri cinque senza che si udissero rumori provenienti dalla toilette. Dall’altra parte si dissero a gesti che c’era qualcosa di strano. Chiamarono Piero, ma questo non rispose. Bisognava entrare nel bagno con la forza. Frederik fece cenno che ci avrebbe pensato lui e si apprestò a sfondare. Poi, in un attimo fu il caos. Piero riaprì di colpo la porta e si avventò su Stefano. Gli era già alle spalle e gli serrava alla gola una sbarra di ferro. Uscendo, l’ostaggio aveva ferito Frederik senza volerlo; quest’ultimo giaceva a terra con uno squarcio in fronte. Lo svedese conosceva alla perfezione le fasi che si sarebbero sviluppate da quel momento in poi. Tutto ciò che doveva fare era afferrare la pistola sotto al giaccone: con la sua arma in pugno avrebbe risolto la complicazione in un attimo, bucando la fronte di Piero senza nemmeno sfiorare Stefano. O magari avrebbe puntato alla gamba destra, estremamente esposta in quel momento. Il fatto è che si sentiva debole, troppo debole per obbedire agli stimoli del cervello. Capiva che quell’aspetto avrebbe rappresentato la disfatta. Stefano intanto, mentre soffocava e sgolava parole stridule, capì in un istante che Claude aveva intuito tutto riguardo a Piero. Perché non me l’ha detto?
<<lascia andare il ragazzo …>> mormorò Frederik mentre la vista gli si appannava. <<… con questa cazzata ti sei compromesso, ma possiamo rimettere le cose a posto.>>
<<non posso, mi dispiace.>> Piero parlava per la prima volta senza quella sua aria svagata. <<voglio bene a Stefano, gli farò un dono … e lo farò anche a te.>>


Giacevano all’interno della Volvo. Piero fumava al posto di guida con aria assorta. Stefano era immobilizzato sul sedile anteriore e Frederik su quello posteriore, ma non erano stati imbavagliati. Stavano lentamente riacquistando i sensi. Quel parcheggio rialzato della periferia di Västervik – duecentosettanta chilometri da Stockholm – era a quell’ora di notte completamente deserto. Piero aveva guidato fino a raggiungere quella cittadina sulla costa orientale del Paese e poi si era fermato all’ultimo piano del parcheggio, a una quindicina di metri d’altezza. Quando Stefano fu sveglio del tutto sentì la bocca impastata di sangue. L’odore di fumo stantio per poco non lo fece svenire nuovamente.
<<dove ci troviamo?>> riuscì a domandare con voce debole.
<<mi sembra di ricordare che questa è la Svezia.>> fece Piero senza ironia.
<<cosa vuoi fare?>> chiese Stefano.
Il freddo aveva colorato di blu le sue labbra.
<<sai … credo di aver aspettato questo momento per tutta la vita.>>
Piero possedeva di nuovo il suo abituale tono apparentemente disattento.
<<come sei riuscito a memorizzare ogni dettaglio del piano di Claude?>>
Stefano tremava come una foglia e mentre parlava sentiva il sapore aspro del sangue che gli si andava diffondendo dal palato all’esofago e fin dentro allo stomaco.
<<quante domande …>> mormorò l’altro. <<… quale piano?>>
Stefano, sgomento, si rese conto che Piero sembrava aver rimosso ogni cosa. Poi si accorse di Frederik sui sedili posteriori e l’adrenalina gli restituì un po’ di nuova energia.
<<che gli hai fatto? Ehi! Hai dimenticato Sidney? Ti piaceva l’idea, no? Era il nostro sogno … potevamo realizzarlo insieme, come avevi chiesto. Un viaggio pazzesco e poi ognun per sé. L’hai detto tu, ricordi?>>
Piero non diede segno d’aver compreso e disse:
<<volevo soltanto guardare un suo film prima di addormentarmi. Non chiedevo poi molto. Se mi aveste dato ascolto … forse … avrei collaborato.>>
<<per noi è la fine.>> si udì dal sedile posteriore.
Era la voce flebile di Frederik.
<<stefano, non l’hai ancora capito?>>
<<che cosa!?>>
<<non ho capito una parola di quanto ha detto Piero fino ad ora … non parlo l’italiano. Ma è chiaro che si vuole ammazzare. E ci porterà con sé!>>
<<ma che dici …>>
<<c’è sempre, in situazioni come queste, un margine d’errore …>> prese a dire Frederik in lingua inglese. <<… la possibilità che tutto vada storto esiste anche laddove operano professionisti come me e Claude. Certo, è molto bassa, ma c’è. La discriminante è in larga parte rappresentata dagli eventuali errori nella fase di valutazione dei rischi … come avrai notato il nostro caso è esemplare di una pessima valutazione della percentuale di rischio.>>
<<grazie.>> fece Piero guardando Stefano con occhi vuoti. <<di avermi rapito, intendo. Se non mi avessi portato con te non avrei mai trovato il coraggio necessario a realizzare il mio sogno.>>
<<non farlo! Metteremo le cose a posto, te lo prometto.>> Stefano stava cominciando disperatamente a capire.
<<un’occasione così non ricapiterà.>> Piero voltò il capo nella direzione di Frederik e passò all’inglese. <<la tua auto è potente, elegante. Se fossimo nella mia F355 sarebbe diverso. Tuttavia trovo questa Volvo piuttosto adatta allo scopo. Tutte le macchine hanno un’anima, Frederik.>>
Frederik aveva ascoltato quelle parole cercando di non incrociare lo sguardo di Piero. Aveva guardato fuori dal finestrino, nel buio del parcheggio, respirando a fondo e provando a concepire l’inconcepibile.
<<frederik, amico … ma quale diavolo è il problema di questo stronzo!>>
Quando Stefano si accorse che Frederik aveva scelto il silenzio, chiudendosi in un suo mondo interiore, una tachicardia improvvisa venne a provare la sua capacità di resistenza. Doveva pur esserci qualcosa da fare o da dire in grado di ribaltare completamente la situazione. Ma l’ansia lo stava divorando dall’interno e non gli permetteva di formulare pensieri coerenti.
<<cazzo, liberaci, maledetto pervertito!>> gridò con le lacrime agli occhi.
Piero si limitò a lasciare che la chiave ruotasse agilmente all’interno del nottolino. Quando udì il rombo dei centocinquantacinque cavalli erogati dal motore duemila otto valvole, non riuscì a trattenere un gemito di piacere intenso. Accarezzò a lungo il volante in pelle e il cruscotto. Accelerò a vuoto per una, due, tre, quattro, cinque volte. Ogni volta più a fondo. Respirando sempre più forte.
<<sentite la voce?>> disse.
Prese infine a emettere urla di piacere. Sempre più acute. Della bava gli colava dalla bocca e ormai non sembrava più curarsi della presenza dei passeggeri. Tastò gli interni dell’auto in maniera morbosa e infine sembrò provare una sorta di breve, intensissimo orgasmo. Poi, ripreso fiato, spinse il piede sinistro sulla frizione e il destro, completamente, sull’acceleratore. Innestò la prima marcia.
<<addio, Stefano.>> disse Frederik prima di chiudere gli occhi con l’intenzione di non riaprirli mai più.
<<come addio?>> Stefano non sembrava volersi rassegnare alla fine assurda che lo stava travolgendo. <<tutto questo è folle!>>
<<e’ una fine sublime.>> disse Piero mentre i giri del motore erano al massimo ormai da troppo tempo, producendo un rombo profondo e isterico. Tutto l’abitacolo era mosso da vibrazioni intense. <<l’uomo ha creato la tecnologia e fondendosi con essa raggiunge la massima espressione d’amore cui questa nostra società, da tempo andata in malora, consente di ambire. Abbiate fiducia, perché saremo un tutt’uno. Adesso, niente paura!>>
Piero staccò il piede dalla frizione. L’auto sgommò in avanti incollando agli schienali i tre occupanti. Per raggiungere il confine estremo del piazzale percorsero una cinquantina di metri, lungo i quali la Volvo, tra prima e seconda marcia, ebbe modo di raggiungere una velocità di ottantasette chilometri orari. Il muretto che delimitava l’ultimo piano del parcheggio presentava un bordo di cemento stranamente appuntito; tuttavia non bastò ad arginare la spinta dell’auto, che si impennava verso l’alto con un rumore di gomme squarciate. L’orrenda amalgama tra uomo e macchina era suggerita dallo schianto e dalla perversione.


Quando la polizia scientifica di Västervik fu sul posto, un rovinoso spettacolo si parava dinanzi agli occhi degli agenti. Sull’agglomerato di lamiere e carne umana sfatta e vetri e cemento, evocando la delicatezza di un fiore appena sbocciato, sorgeva, adagiata su un fanale posteriore curiosamente ancora integro, una fotografia: Piero cingeva in un abbraccio il regista David Cronenberg. Insieme guardavano sorridenti verso l’obiettivo. Sullo sfondo, la dimora canadese del maestro era quasi interamente ricoperta di neve. L’autografo del mito s’estendeva sull’intera superficie dello scatto, per obliquo.



THE END
 
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